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Case minime. Romanzo
Il mondo delle «case minime», dove ci muoviamo nelle pagine di questo romanzo, è segnato da un doloroso grottesco, da una «miseria metafisica» che penetra nelle ossa, dai sottili grovigli di una comicità nera. Maxim, il protagonista, è un piccolo funzionario e una piccola vittima nel grande Teatro dellAssistenza. Come funzionario, dovrebbe per mestiere assistere gli altri, nella città colpita da una pigra, ma crudele epidemia. Come vittima, il Comune gli ha assegnato appunto una «casa minima», dove non solo i suoi sogni sempre più pressanti ma il suo respiro non riescono a trovare spazio. LAssistenza, infatti, è la forma più attuale di punizione della vita. Con agile noncuranza, Vigevani ci fa seguire gli itinerari di Maxim: dalla fetida angustia delle case minime alla città, che tende a somigliare a un ospedale diffuso, sino allospedale vero, che diventa ora il luogo degli intrattenimenti: si organizzano concerti e animazioni dellavvilimento. La psiche di Maxim si disegna con pochi tratti, labilmente, su questo sfondo: allinizio, appena «per un attimo si era sentito libero e subito era sopraggiunto il terrore». Poi, con tortuosi tentativi, Maxim comincia a vagare nella memoria. A poco a poco, raccoglierà oscuramente...
Il barone Bagge
Fra crateri spenti, nebbie e pantani gelati, uno squadrone della cavalleria austriaca si addentra nell'ignoto. Sono centoventi uomini, vestiti e armati nello stile di un tempo ormai lontano, «come una schiera di fantasmi a cavallo» sperduti sul fronte orientale della prima guerra mondiale. Seguendo il loro scalpitare, varchiamo la soglia di un regno intermedio che è insieme dei vivi e dei morti, del sogno e della veglia perfetta. Di quel regno, in tutta la sua opera, Lernet-Holenia è stato un magistrale cronista. «I racconti più perfetti sono quelli che, pur potendo pretendere al massimo della verosimiglianza, raggiungono il grado supremo dell'irrealtà» egli scrisse una volta. Il barone Bagge, pubblicato per la prima volta nel 1936, applica questo proposito con precisione abbagliante - e al tempo stesso dimostra che lo si può rovesciare: perché qui ciò che più è irreale ha il massimo della verosimiglianza. Solo alla fine scopriremo che questo racconto, oltre che una delle ultime cronache della cavalleria, è un archetipo, una sfaccettatura intatta nella pietra di Amore e Morte.
EUR 9.35
Palchetti romani
In questo volume sono per la prima volta raccolte tutte le cronache teatrali che Savinio scrisse per il settimanale «Omnibus», diretto da Leo Longanesi, fra il 1937 e il 1939. In quel periodo sfilarono dinanzi al suo occhio di spettatore non complice tutte le glorie e le miserie del teatro italiano, dai testi rutilanti del «bardo» D'Annunzio (e del «bardo in seconda» Sem Benelli) alle «freddure» del varietà, dai Giganti della montagna di Pirandello a Villafranca di Giovacchino Forzano, inframezzati dalle obbligatorie pochades, dai Rostand, dagli Shaw, dai Rattigan, dai Bernstein, oltre che da qualche Plauto, Shakespeare e Lope de Vega. Quanto agli attori, andavano dal vegliardo Ermete Zacconi all'esordiente Anna Magnani, e fra l'uno e l'altra - oltre all'aleggiante ricordo della Duse - troviamo davvero tutti: da Benassi alla Morelli, da Ricci alla Pagnani, da Dina Galli ai De Filippo, dalla Gramatica alla Melato, da Macario a Tòfano. Savinio fu un grande spettatore e testimone di quel teatro innanzitutto perché andava a vederlo malvolentieri. Per una sua vasta parte, il teatro è l'involontario e momentaneo mettersi in scena di una civiltà: e Savinio sentiva acutamente il tanfetto stantio, l'orrenda «sanità» di gran...
Storie del mio zoo
Molti bambini, intorno ai sei anni, sognano di dedicarsi da grandi ai più disparati mestieri: il poliziotto, il macchinista, il pompiere. Gerald Durrell sognava di avere uno zoo. Con tenacia, rimase fedele al suo desiderio, finché riuscì ad aprire davvero, nell'isola di Jersey, un suo zoo, che è tuttora in funzione e si pone come primo obiettivo quello di contribuire a salvare le specie in pericolo. Per Durrell lo zoo è così diventato una forma di vita: per lui significa svegliarsi all'alba alle voci degli svariati animali, che egli riconosce una per una, e poi passare la giornata affrontando i più umili e bizzarri problemi, trattando gli animali come propri conviventi, in un rapporto di felice intimità, che Durrell riesce a trasmetterci in tutti i suoi libri, e particolarmente in questo, che alla storia del suo zoo è dedicato. Le risse del trombettiere Trombi e di due pinguini, la laboriosa uscita di tante tartarughine dal loro uovo, il recupero di un tapiro fuggito, un matrimonio combinato fra gorilla: attraverso queste pagine ricche di movimento (e di insegnamenti) seguiamo Durrell in tutte le vicissitudini della sua vita quotidiana nello zoo di Jersey, vissute e...
La ragione errabonda. Quaderni postumi
Questo volume ci introduce nel laboratorio del pensiero di Colli: l'imponente massa di questi appunti, stesi fra il 1955 e il 1977, ci permette di seguire momento per momento l'intessersi di una speculazione che fu, sin dall'inizio, mirabilmente costante. Colli si affidava alla scrittura con diffidenza - e soltanto quando riteneva di aver raggiunto un risultato preciso. Qui, dunque, già dalle prime pagine ci troviamo nel cuore della sua tematica. Subito è evidente la sua preoccupazione di riconoscere i tratti della «hybris costruttiva della ragione», che egli considerava «responsabile della decadenza». Contro questa «ragione errabonda», inseguita in tutte le sue metamorfosi, in tutte le sue trappole, si è sempre rivolto il pensiero di Colli, ma con un senso di intensa fascinazione, che lo obbligava a descriverla in tutti i suoi meccanismi. Negli appunti qui raccolti assistiamo al tenace lavoro di progressiva sceverazione fra questa ragione, che divampò per la prima volta nella Grecia antica, divenendo infine il fondamento del mondo moderno - e un'altra faccia della Grecia, quella dei «sapienti», a cui Colli intendeva riallacciarsi. Come nei temi, egli fu costante nello studio dei suoi autori: i pensatori arcaici, da Parmenide a Empedocle...
Il tempo e le opere
Questo volume si propone di raccogliere il meglio delle pagine saggistiche e critiche di Gadda finora disperse in riviste e giornali: ventisei scritti, vari per occasione, temi e stile, che vanno dal 1927 al 1968. È questa una zona poco conosciuta, e piena di sorprese, dell'opera di Gadda: non meno delle sue narrazioni, i saggi testimoniano la sua natura di "mostro plurilingue". Così passiamo dal saggio sui "Promessi sposi", che rimane una lettura capitale di quel romanzo, allo scritto sul "cetriolo del Crivelli", di funambolica maestria stilistica, a pagine di prosa mallarmeana, dall'abbagliante biancore, come l'"Autografo per Giorgio De Chirico", a certi testi felicemente polemici, come quello contro l'"immortale monolingua" che da secoli incombe sulla letteratura italiana, rendendola tanto spesso incline a un vizio da Gadda aborrito: "l'inanità dell'immagine". Nelle pagine su D'Annunzio, su Palazzeschi, su Montale troviamo poi altrettanti campioni di una ritrattistica acuminata, cosparsa dei segni inconfondibili del comico gaddiano. In Gadda il sovrapporsi e articolarsi delle lingue mira a inseguire l'inesauribilità del reale: come egli scrisse di Proust, la sua pagina "è un imbuto sagace, che permette a lui stesso, e dopo di lui al suo lettore, di bere in...
Gitagovinda
Il Gītagovinda, «il pastore del canto», è uno dei grandi testi dell'eros indiano - celebrazione della voluttà senza soggetto e insieme delle nozze dell'anima con Dio, che qui appare come il giovane Krsna «inghirlandato di bosco», incarnazione di Visnu. Il Gītagovinda canta le sue inesauribili avventure d'amore con le molte pastorelle dalle «carni tonde, lisce, quasi elastiche, dense della molle densità del miele che cola sopra il miele» e con la pastorella che è l'Amata prediletta fra le mille spose. I dati elementari di ogni storia d'amore - la gelosia erotica, il languore fantasticante della separazione, il brivido del ritrovarsi - parlano qui in immagini lussureggianti, come se ogni pulsazione del sentimento si dilatasse nel cosmo trascinando dietro di sé un corteo sontuoso di metafore. Mentre Jayadeva, raffinato poeta del secolo XII, scriveva il Gītagovinda, il dio Visnu volle sostituirsi a lui nella stesura di alcuni passi dove si cantano le bellezze della sua amante e in particolare in una strofa dove il dio prega la fanciulla di porgli sul capo «il bocciolo sublime» del suo piede, strofe che il poeta, per reverenza al dio, non osava concludere. Una voluttuosa delicatezza, la capacità...
Il mondo che ho visto
Questo libro è lultimo lavoro a cui si dedicò Mario Praz: una vasta scelta dai suoi scritti di viaggio (in buona parte mai prima raccolti), preceduta da unintroduzione inedita, che è un magistrale profilo della storia del Grand Tour. In queste pagine Praz osserva che «pochi viaggiatori sanno essere personali, sanno vedere con occhi che penetrano nellessenza delle cose» e accenna a certi scrittori che hanno lasciato, nei loro diari, puri elenchi di monumenti e chiese visitate. Praz è ovviamente lopposto: come nella sua attività di critico era attratto sempre e soltanto dalla peculiarità e dal risuonare delle peculiarità luna sullaltra così nella sua veste di viaggiatore lascia vibrare la sua attenzione, di preferenza, non già dinanzi agli spettacoli obbligatori, ma dinanzi a scene laterali, ad angoli dimenticati, a piccole enclaves nello spazio, verso le quali il suo passo rabdomantico è ogni volta attirato. Il suo amato Charles Lamb, «quando si recava a far visita a una qualche famosa country-house dInghilterra, per prima cosa chiedeva del salottino cinese». Allo stesso modo, dopo una doverosa gita alle Piramidi, Praz prende subito loccasione per una lunga visita alla deplorevole villa di Faruk. Quanto al neoclassico,...
Le dame galanti
Noi pensammo dunque che il miglior mezzo per rompere la nefasta fama che toglie dalla libera circolazione queste opere belle e meritevoli di essere lette da tutti, è il divulgarle, non più sotto il velo del libro clandestino ma nella veste chiara e nobile del libro classico». Così scriveva Alberto Savinio nel presentare la sua magistrale traduzione delle Dame galanti. E di fatto, a distanza di quattro secoli, Brantôme è finalmente passato, insieme al suo contemporaneo Tallemant des Réaux, dallo scaffale appartato dei classici galanti e osceni a quello dei classici tout court. Monumentale raccolta di aneddoti licenziosi, Le dame galanti è intriso in ogni sua riga di una ferina arguzia, quella che dominava allora alla corte di Francia. L'alterigia aristocratica e la sordidezza si mescolano qui assai spesso, e fra la beffa e la vanteria erotica si intrecciano storie brevi ed esilaranti. Nell'accumulare centinaia di episodi libertini, Brantôme sembra animato dallo scrupolo dell'enciclopedista, che vuol raccogliere ogni possibile variante della furia amorosa. Così, alla fine, questo guascone pettegolo e caustico riesce a creare un suo epos della profanità, dove una folla di dame insolenti nella lussuria fa corona a un immenso letto....
Ultimi racconti
«Le storie si raccontano da quando esiste la parola, e priva di storie la razza umana sarebbe perita, come sarebbe perita priva dacqua» dice un personaggio di questi Ultimi racconti, frase che possiamo leggere come un codicillo testamentario. Tutta lopera della Blixen presuppone infatti che il narrare storie corrisponda a una nostra esigenza primordiale, a un desiderio che va costantemente nutrito, se non vogliamo che la vita stessa si inaridisca. Ed è un desiderio demoniaco, linvito a un «gioco spietato e crudele». Quanto alle domande sulle cose ultime, per la Blixen non era opportuno, né adeguato, rispondervi con un qualche concetto o sentenza, ma con una storia. E nessuna vera storia pretenderà mai di essere in sé la risposta, ma rimanderà sempre a unaltra storia: fondamento della vocazione della letteratura a non avere mai fine. Su questo presupposto Karen Blixen concepì un «romanzo» che doveva essere composto di cento racconti intrecciati e sarebbe stato la corona della sua opera. Non giunse a compierlo, ma la prima, mirabile parte di questi Ultimi racconti pagine in cui la Blixen si è avvicinata come mai prima a pronunciare il segreto della sua arte contiene sette storie...
Storia e utopia
Quando questo libro apparve, nel 1960, suonò come una voce appartata, subito coperta dal chiasso delle cose in baldanzoso movimento; oggi quello stesso movimento delle cose lo ha suffragato, a distanza di tempo, in modo allarmante. Ma Cioran non va misurato su alcuna attualità che non sia quella, perenne, di una caduta originaria, la «caduta nel tempo». Come leggiamo in questo libro, «una volta cacciato dal paradiso, l'uomo, perché non ci pensasse più e non ne soffrisse, ottenne in compenso la facoltà di volere, di tendere all'atto, di inabissarvisi con entusiasmo, con brio». Di quell'accecato entusiasmo, di quel sinistro brio è fatto ciò che da qualche secolo chiamiamo storia. All'interno di essa agiscono certe forze immense che non solo gli storici, ma i pudibondi psicologi dimenticano sempre più spesso di nominare. Cioran sa osservarle con la maestria di un moralista di Versailles che si sia educato su Dostoevskij e sulle taglienti discriminazioni dei testi buddhisti: la «nostalgia della servitù» e l'«euforia della dannazione», il «delirio dei miserabili» e le «virtù esplosive dell'umiliazione», altrettante tappe di un grande viaggio che qui viene definito «l'odissea del rancore». Ma c'è qualcosa di ancora più disperante della...
Poesie
«Non ho alcuna esitazione nell'affermare che Czesław Miłosz è uno dei più grandi poeti del nostro tempo e forse il più grande» scriveva qualche anno fa un altro poeta, Iosif Brodskij. Poi giunse, nel 1980, il premio Nobel - e molti lettori in tutto il mondo cominciarono a scoprire l'opera complessa e intensa di questo scrittore, che da anni si trovava nella paradossale condizione di essere circondato da persone che non leggevano la sua lingua, mentre i suoi libri erano proibiti a coloro che la leggevano. Nato in Lituania nel 1911, esule dalla Polonia sin dal 1951, Miłosz «ha ricevuto quella che si potrebbe definire l'educazione standard dei paesi dell'Europa orientale, che ha incluso, fra l'altro, l'esperienza del cosiddetto Olocausto, già da lui profetizzata nelle liriche della seconda metà degli Anni Trenta». E «la sua terra, dopo essere stata devastata fisicamente, gli venne sottratta e distrutta spiritualmente» (Brodskij). Questo poeta metafisico, in perpetua complicità con l'invisibile, è stato costretto dalla storia a vivere l'invisibile innanzitutto nella sua forma più letterale e più ossessiva: come ressa dei morti e delle cose scomparse. Il poeta è qui sempre il sopravvissuto, che si mormora un verso...
Il piccolo almanacco di Radetzky
«Non abbiate timore. A prima vista / può sembrare poesia, ma sono storie / di due guerre, raccolte da un cronista / che si è perduto fra vecchie memorie. / Il testo, anche se ha righe disuguali, / non differisce in nulla da una prosa, / con nomi, date e luoghi ben reali - / sia documento o cronaca o altra cosa». Questo cronista ha sfogliato a lungo gli «annali dispersi» dell'Impero absburgico, ha educato l'orecchio alle sue nitide voci, con sottigliezza, con eleganza si è esercitato a riprodurle, trascrivendole in versi assai discorsivi, che legano queste vicende come l'aria che esse tutte respirarono. Se Grillparzer disse per Radetzky: «dove è il tuo campo, lì è l'Austria», oggi possiamo dire che dove sono quelle voci, lì è l'Austria. Personaggi e vicende: una onorificenza per Franz Kafka; un'avventura del tenente Musil; la famiglia Canetti al concerto; da Cracovia l'addio di Georg Trakl; le notti di Alban Berg in camerata; un discorso di Hofmannsthal a Vienna; l'ultima ora dell'Imperatore; il Golem è apparso a Gustav Meyrink; Ettore Schmitz tra i naufraghi del Wien; Wittgenstein da Asiago a Cassino; Anton Webern protesta e scrive lieder; Karl...
Claustrofilia
Nel suo scritto quasi testamentario sull'«analisi interminabile» Freud individuava il più maligno problema dell'analisi nella sua tendenza a un prolungamento indefinito. La storia successiva gli ha dato conferma: oggi schiere innumerevoli di persone sono in analisi da anni, e per anni si apprestano a continuare. Se ciò avviene, afferma Fachinelli, è perché l'analisi è caduta vittima del suo stesso inconscio: paradossalmente, essa è rifluita in un'«area claustrofilica», dove fra analista e paziente si instaura un rapporto di «unità duale» che rimanda a quello tra la madre e il bambino, alla nascita e prima di essa. Con procedimento affascinante, Fachinelli non ci espone qui soltanto le sue tesi, ma racconta come esse sono nate nella sua pratica analitica, come ha visto lentamente delinearsi due presenze inquietanti che magnetizzano la relazione claustrofilica: le esperienze di doppio e di coincidenza. Siamo qui vicini alle colonne d'Ercole della psicanalisi, se si pensa al sacro timore che già Freud mostrava per quelle presenze. Qui, inevitabilmente, «le acque si mescolano», la psicologia è costretta ad affrontare fenomeni usualmente relegati nell'inferno della parapsicologia e il «perturbante», che una buona parte della pratica analitica vorrebbe addormentare, si rivela essere il protagonista...
Gli ultimi giorni di Immanuel Kant
La vita di Immanuel Kant, scrive De Quincey, «fu notevole non tanto per i suoi avvenimenti quanto per la purezza e la dignità filosofica del suo tenore quotidiano». Era un ordine perfetto e infantile, dove ogni minuzia della giornata veniva osservata con lo stesso rigore, con lo stesso scrupolo di trasparenza che il grande filosofo dedicò ai problemi epistemologici. Nel corpo minuto di Kant, nelle sue maniere austere e amabili vivevano i Lumi, giunti al grado più nobile e penetrante del loro fulgore, come in un delicato involucro. E un giorno quel perfetto ordine avvertì i primi segni del declino. Da allora, ingaggiò una lunga, testarda lotta contro le forze della disgregazione. Thomas de Quincey, collazionando le varie testimonianze di amici sull'ultimo periodo della vita di Kant, e utilizzando soprattutto quella, insieme modesta e rapace, di Wasianski, ne ha tratto una narrazione che corrisponde agli antichi tratti del «sublime». Dinanzi al progressivo decadere di quella vita mirabilmente costruita, dinanzi alla raccapricciante comicità di certe scene e allo strazio immedicabile di altre, viene naturale dire di questo testo, in cui convivono, come rare volte accade, la più acuminata modernità e un purissimo pathos: chi...
Epistolario
La maggior parte delle lettere che compongono questo volume è del tutto inedita o qui pubblicata per la prima volta nella sua interezza. A distanza di più di settantanni dalla morte di Michelstaedter, che sempre apparve come un temibile enigma, possiamo dire finalmente con questo libro di sapere qualcosa della sua vita. Ed è un qualcosa di immensamente vivo, dettagliato, coinvolgente: un documento prezioso che nulla toglie alla enigmaticità di Michelstaedter, ma conferisce alla sua fisionomia un profilo più netto, una voce penetrante, il fascino di una invincibile gioventù che convive con una maturità precoce e devastatrice. Quando, nellottobre del 1905, il diciottenne Carlo Michelstaedter lasciò Gorizia per andare a studiare alluniversità di Firenze, quella partenza gli appariva al tempo stesso come «esiglio» e come inizio di unavventura. Da principio quasi ora per ora, poi sempre con grande slancio e naturalezza, oltre che con ironia, spesso esilarante, raccontava nelle lettere ai suoi le impressioni che gli venivano incontro: gli amici di famiglia, per lo più della buona borghesia ebraica, che lo accolgono nelle varie città, descritti in brevi tratti corrosivi; le bellezze dItalia che appaiono finalmente dal vero e gli fanno «scorrere nel...
Dialoghi delfici. Il tramonto degli oracoli-L'E di Delfi-Gli oracoli della Pizia
Il tramonto degli oracoli è forse il testo più grandioso che ci parli della fine del mondo antico. Nessun'altra immagine di storico o di poeta ha l'eloquenza desolata di Plutarco, quando ci presenta la terra che «un tempo straripava di voci oracolari» e «ora si è completamente inaridita, come una sorgente che si esaurisce». Narra una storia che aquile, oppure cigni, «partiti dai limiti estremi della terra e diretti al suo centro», si ritrovarono a Delfi, «ombelico» del mondo. Ma ora anche lì gli oracoli rischiano di giacere «muti come strumenti trascurati dai suonatori», mentre una voce soprannaturale annuncia ai naviganti la morte di Pan, e un lungo gemito risponde all'annuncio. La testimonianza di Plutarco ci appare tanto più significativa in quanto egli stesso fu per vent'anni uno dei sacerdoti di Delfi: questo amabile saggista, questo Montaigne della tarda antichità era anche un custode dei suoi segreti. Ed è commovente ascoltarlo nella sua difesa dell'oracolo, quand'anche esso non parli più in versi, ma in prosa, come vuole il tempo del declino. Mai come nei «dialoghi delfici», che sono raccolti in questo volume, il carattere bifronte di Plutarco, che si rivolge al tempo stesso...
L' anima dell'indiano. Un'interpretazione
Questo libro è unico tra le molte introduzioni alla civiltà degli indiani d'America, innanzitutto perché non lo scrisse un antropologo ma un indiano, un Sioux cresciuto negli anni tragici in cui si compiva il massacro della sua gente. Eastman però conobbe molto bene anche il mondo dei bianchi: dopo aver raggiunto il dottorato in medicina all'Università di Boston, a lungo si dedicò alla vana impresa di fare intendere alle autorità americane le ragioni degli indiani. Alla fine gli rimase una lucida disillusione, sentimento che spesso si avverte in questo libro, dove si espongono sobriamente gli elementi di cui è costituita «l'anima dell'indiano», in modo che perfino un bianco possa capirla. Basterà aprire queste pagine per essere subito avvolti dallo hambeday, quella «sensazione misteriosa», che è l'esperienza primordiale dell'indiano, primo segno della sua «comunione solitaria con l'Invisibile». Da quella sensazione discende ogni altro aspetto della sua civiltà, costruzione altamente complessa, austera e illuminata, che qui Eastman illustra con dolce e desolata fermezza.
EUR 8.50
Abdia
Fra i grandi scrittori dell'Ottocento, Adalbert Stifter è forse il meno conosciuto fra noi. Sempre più chiaramente appare, con gli anni, che l'opera di quest'uomo che visse a lungo appartato nella provincia austriaca, che vide il mare per la prima volta a cinquantadue anni, a Trieste, che pretendeva di scrivere «trastulli per giovani cuori», è una delle rare opere di cui si può dire, nelle parole di Hofmannsthal, che «nascono da necessità assolutamente sovrapersonali». Non c'è scrittore, ad esempio, che sia riuscito ad assorbire, come lui, storia e metafisica in pure descrizioni di paesaggio. Ciò si applica in modo quasi paradigmatico ad Abdia (1842, versione rivista nel 1847), uno dei suoi racconti più perfetti. Qui una fosca, fatale vicenda si tende fra gli estremi del deserto africano - con il suo «incanto fatto di solitudine e silenzio» - e l'altra solitudine, umida e verdeggiante, di una conca alpina, scoperta dall'ebreo Abdia come terra del più rapinoso esotismo, idillica cerchia dove egli racconterà, passeggiando, alla figlia le fiabe del deserto. Qui, come sempre in Stifter, gli eventi osano presentarsi come «una serena catena di fiori»: ma poiché, di quella catena, soltanto «pochi petali sono...
La rovina di Kasch
La leggenda della rovina di Kasch narra di un regno africano dove il re veniva ucciso quando gli astri raggiungevano certe posizioni celesti. In quel regno arrivò un giorno uno straniero di nome Far-li-mas, dalla terra di là dal mare orientale. Raccontava storie inebrianti: i sacerdoti, ascoltandolo, dimenticarono di osservare il cielo. Con l'arrivo di Far-li-mas ebbe inizio la rovina dell'antico ordine di Kasch, fondato sul sacrificio. Ma anche il nuovo ordine, dove l'uccisione rituale del re era abolita, sarebbe andato presto in rovina. Rimasero soltanto le storie di Far-li-mas. In questo libro è la Storia stessa, guidata da un accorto cerimoniere, che torna a volgersi verso quelle storie. Il cerimoniere è qui Talleyrand, il più chiaroveggente e il più famigerato, il più moderno e il più arcaico fra i politici. Dando il braccio al lettore, come già lo aveva dato a tante Dame e a tanti Potenti, egli ci introduce a luoghi, voci, gesti, vicende: la Corte di Versailles e l'India dei Veda, l'abbazia di Port-Royal e i portici libertini del Palais-Royal, Maria Antonietta, Bentham, Goethe, Fénelon, Baudelaire, Marx, Chateaubriand, tre sordidi assassini, un bastardo di Luigi XV, un uomo d'armi che...