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Marte in Ariete
Questo romanzo non solo racconta unavventura, che oscilla fra il nostro e altri mondi, ma la sua origine stessa è avventurosa. Lernet-Holenia, che era stato ufficiale dellesercito absburgico nella prima guerra mondiale, si trovò a essere richiamato alle armi, questa volta nellesercito tedesco, poco prima dellinvasione della Polonia. Durante i primi mesi di quella campagna, tenne un minuzioso diario. E, appena ebbe una licenza, si mise a scrivere questo romanzo, al cui centro è appunto linvasione della Polonia: sarebbe presto apparso a puntate su una rivista dal titolo frivolo: «Die Dame». Quando però il testo stava per essere pubblicato in forma di libro, e tutta la non piccola tiratura era pronta, un intervento del ministero di Goebbels proibì la diffusione di quellopera sospetta. Due anni dopo, un bombardamento distruggeva tutti gli esemplari del libro, che erano rimasti nel magazzino delleditore. Ma a Lernet-Holenia rimaneva ancora una copia delle ultime bozze: fu quello il testo che finalmente sarebbe apparso nel 1947. Per una volta, i censori erano stati buoni lettori. In queste pagine si legge davvero in filigrana una possente raffigurazione dello sfacelo che i nazisti stavano portando nel mondo. Ma non già perché...
Appunti di un guardiano notturno
Il Guardiano Notturno che ci parla in questo libro appartiene alla specie dei «refrattari», esseri inservibili per la società ibanese (della quale il mondo sovietico è un modesto specchio). Con il suo occhio di fantasma maligno, egli osserva lo svolgersi di una vita che non vuole rinunciare, in nessuna sua forma, a produrre l'avvilimento delle persone e delle cose. Ora non c'è più bisogno di ricorrere alle feroci persecuzioni del Padrone (delle quali possiamo farci un'idea leggendo una vita di Stalin). No, ora lo stile ibanese è diverso, più pallido, più quieto, una tortura meno appariscente e ben più prolungata. Il Guardiano Notturno, quale esperto di quella vita, ce ne offre una miniatura avvelenata, dove ritroveremo molti personaggi di Cime abissali. Scritto nel 1975, quando Zinov'ev non era ancora stato espulso dall'Unione Sovietica, questo libro viene a confermare l'assioma ibanese secondo cui «un intellettuale è immancabilmente marcio».
EUR 6.80
Crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello
Gli idoli sono le vecchie verità cui gli uomini hanno creduto sinora. Socrate, per N. ha corrotto l'anima greca col veleno della "ragionevolezza a tutti i costi". Affronta poi il problema della trascendenza. Riprende anche un tema favorito, la "morale come contro-natura". Successivamente designa gli errori che hanno traviato gli uomini: la confusione tra causa e effetto, il concetto della causalità, il ricorso a cause immaginarie per spiegare le azioni e infine il concetto del libero arbitrio. Nelle notazioni sulla "psicologia dell'artista" N. esalta l'arte come stimolatrice della vita e vede l'"ebrezza" come condizione preliminare di ogni creazione artistica. Predica infine il ritorno alla natura come "amor fati".
EUR 11.05
Gioco all'alba
Lungo racconto, amaro e perfetto, Gioco all'alba (1927) narra la vicenda di una creatura peculiarmente schnitzleriana: Willi, un ufficiale snello, piacente, leggero, che ama la vita e le donne, purché non esigano troppo da lui. Le amanti, il gioco, i colleghi, gli spettacoli, i soldi, le uniformi si alternano nella sua mente in una tenue ma costante fantasticheria, che aggira accortamente gli ostacoli del reale. Ma c'è un momento in cui il destino, come risvegliandosi da una ingannevole sonnolenza, comincia a stringere anche per lui i suoi nodi: da quel momento le ore di Willi precipitano verso un'alba livida e irreparabile. Una lunga partita a carte, con i suoi precedenti e le sue conseguenze, basta qui ad assumere i tratti antichi della fatalità. Le sorti ruotano, le parti si rovesciano, i fatti vorticano intorno al protagonista. Con magistrale colpo di scena, quando la stretta è già divenuta soffocante, Schnitzler fa balenare, accanto al denaro, l'amore, l'uno nello specchio dell'altro. E la reciprocità erotica svela qui il suo volto segreto: quello della più sottile crudeltà. Come in Doppio sogno e Fuga nelle tenebre, che appartengono allo stesso giro di anni, Schnitzler compendia in queste...
Il complesso del denaro. Romanzo
Al tempo in cui la psicoanalisi era ancora una curiosità, la protagonista di questo romanzo - donna di trascinante simpatia e vivezza - si stabilisce in una casa di cura perché un giovane analista le ha spiegato che soffre di un «complesso del denaro». Ma la paziente a tutto pensa salvo a prendere sul serio l'idea di curarsi. Stare in clinica significa per lei innanzitutto sfuggire per qualche tempo ai creditori, nell'attesa che si creino nuovi debiti e soprattutto che si manifesti quell'essere di cui, con fulminea percezione psicologica, ha colto tutta la potenza: il Denaro, appunto. Gli altri pazienti che la circondano (e presto saranno contagiati dalla sua dottrina) le appaiono tutti guaribili, più che con qualche sommovimento dell'inconscio, con una opportuna somministrazione di Denaro. Come Groddeck in una memorabile serie di «lettere a un'amica» aveva raccontato le avventure e i capricci dell'Es, così Franziska zu Reventlow ha tracciato con penna leggera e pungente, nelle lettere a un'amica che compongono questo romanzo, alcuni esilaranti capitoli dell'epos di quella potenza parallela, non meno duttile ed elusiva. È una storia di beffe, sogni e desideri, che ruota intorno a eredità, banche, fallimenti, casinò, imprese...
Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale
A venticinque anni, nel 1934, Simone Weil scrisse queste Riflessioni, vero talismano che dovrebbe proteggere chiunque è costretto ad attraversare l'immenso ammasso di menzogne che circonda la parola «società». Come sempre nelle parole più ovvie, in essa si cela una realtà segreta e imponente, che agisce su di noi anche là dove nessuno la riconosce. La Weil è stata la prima a dire con perfetta chiarezza che l'uomo si è emancipato dalla servitù alla natura solo per sottomettersi a un'oppressione ancora più oscura, ancora più capricciosa e incontrollabile: quella esercitata dalla società stessa, poiché «sembra che l'uomo non riesca ad alleggerire il giogo delle necessità naturali senza appesantire nella stessa misura quello dell'oppressione sociale, come per il gioco di un equilibrio misterioso». Da questa intuizione centrale si diparte, con cristallina virtù argomentativa, una sequenza di ragionamenti che svelano nei meccanismi del potere come in quelli della produzione e dello scambio altrettanti volti di una stessa idolatria. Scritto quando Hitler era al potere da pochi mesi e quando Stalin era venerato da gran parte dell'intelligencija come «piccolo padre» di una nuova umanità, questo testo non ha un attimo di incertezza nel delineare l'orrore di...
La tentazione di esistere
Chi vuole avvicinarsi a Cioran apra questo libro: è forse il suo più perfetto, ma soprattutto è quello che lo rivela nei suoi gesti peculiari, nella fisiologia, nel «ritmo suo proprio, pressante e irriducibile». Maestro attuale di quell'arte del «pensare contro se stessi» che si era già dispiegata in Nietzsche, Baudelaire e Dostoevskij, questo scrittore rumeno, al quale dobbiamo la più bella prosa francese che oggi si scriva, appartiene per vocazione alla schiera dei condannati alla lucidità. Che la lucidità sia una condanna, oltre che un dono, nessuno sa mostrarcelo, con altrettanta precisione, con altrettanta inventiva, quasi da camuffato romanziere. E si tratta di una lucidità macerata dal tempo, dall'eredità di tutta la nostra cultura. Se «c'è un “odore” del tempo», e così anche «della storia», Cioran è, fra gli animali metafisici, il più addestrato nel riconoscerlo, nell'inseguirlo, anche là dove spesso chi fa professione di storico non avverte le tracce di questa «aggressione dell'uomo contro se stesso». Non c'è osservatore più perspicace di quel «lato notturno» della storia che oggi avvolge il mondo in un manto oscuro. Che cosa sia, che cosa sia stata l'Europa si respira in ciascuna di queste pagine....
La gattomachia
Come l'avventuroso gatto Marramachiz, a cavallo di una scimmia, volle conquistare la leggiadra gatta Zapachilda, che cantava una «solfa gattesca», sopra le tegole di un tetto; come anche il gatto Micifuf, «per la pompa, la coda ed il vigore / celebre in ogni parte» si perdesse d'amore per Zapachilda; come da ciò nascesse una trama di inganni amorosi, duelli e sanguinosi agguati; come si scontrassero le armate dei due rivali, in una guerra che ripeteva l'assedio di Troia; come infine un casuale colpo d'archibugio abbattesse uno dei due rivali, lasciandolo «lì tra le dure tegole insepolto»: per cantare questa vicenda di alta comicità e tenero strazio occorreva un poeta che, oltre a tutte le corde dell'Umano, conoscesse quelle più segrete del Gattesco. E ci appare naturale che fosse Lope de Vega, lo scrittore più prodigioso per fecondità e facilità d'invenzione nella letteratura moderna, colui che ebbe il verso «più dolce» nella poesia spagnola. Pubblicata nel 1634, questa Gattomachia è un gioiello che potrebbe facilmente perdersi nell'oceano dei versi di Lope (circa un milione, secondo stime prudenti): ma qui la isoliamo nella prima traduzione italiana quale ineguagliato Epos del Gatto.
EUR 10.20
Lettere a una gentile signora
"Cara e Gentile Signora": così comincia la prima lettera di questo epistolario, scritta il 21 settembre 1935. "Cara, gentile Signora Lucia": questo è l'inizio dell'ultima, scritta ventinove anni dopo. Durante tale periodo, ricco di creazioni e di angosce nella vita di Gadda, la consuetudine epistolare accompagnò i rapporti fra lo scrittore e Lucia Rodocanachi, la "Gentile Signora", mantenendoli a una distanza che per essere giusta doveva essere notevole. Gadda e la Rodocanachi si conobbero alle "Giubbe Rosse", presentati da Montale. Lei era una donna appassionata di letteratura: per anni ricevette amici scrittori nella sua casa di Arenzano, e con loro collaborava spesso come traduttrice. Gadda era attratto dalla "gentilezza" di questa amica, ma la sua invincibile ipocondria lo irretiva in un rapporto dove la deprecazione di se stesso, le scuse e i sensi di colpa trionfavano. Eppure, proprio attraverso tale rete di autoaccuse lievemente maniacali traspare in queste pagine la vita di Gadda, nelle sue delicate oscillazioni: faticosa, ombrosa, tanto più scrupolosa di rispettare le forme quanto più in essa si accumulava una temibile carica di violenza. Nel rapporto fra la "Gentile" Signora e la "gentilezza" di Gadda, qui scandagliata in un saggio...
Stalin
Questo libro è il primo che abbia detto alcune essenziali verità su Stalin. E le ha dette così presto, e con tale nettezza, che la sua presenza ha accompagnato come un'ombra gli ultimi vent'anni di vita del capo sovietico, oltre che la sua fortuna postuma. Non solo: le ha dette per bocca di uno storico che era stato uno dei segretari della Terza Internazionale, uno dei fondatori del Partito Comunista Francese, collaboratore di Lenin, Trockij, Zinov'ev, Bucharin, Radek, Rakovskij, Klara Zetkin, Gramsci, Bordiga, infine amico e compagno di Simone Weil nelle lotte del sindacalismo rivoluzionario in Francia. Souvarine giunse dunque a capire la natura di Stalin e del bolscevismo dall'interno, e da un interno assai intimo, senza però che la sua visione fosse a sostegno di un certo bolscevismo contro un certo altro, come avvenne invece ai molti trockisti che denunciarono i misfatti di Stalin negli Anni Trenta. Souvarine presentò per la prima volta all'Occidente un'immane quantità di fonti e documenti, fino allora ignorati o letti rozzamente: e soprattutto illuminò questo materiale con una lucidità e una fermezza esemplari, che vi facevano risaltare non solo il profilo della persona Stalin ma quello che...
Romanzi brevi: La tela del ragno-Hotel Savoy-La ribellione-Il peso falso
Questo volume raccoglie quattro romanzi brevi, che hanno grande importanza nell'opera di Roth. I primi tre (La tela di ragno, Hotel Savoy e La ribellione) sono quelli con cui Roth si è rivelato come scrittore, fra il 1923 e il 1924, con straordinaria felicità e sicurezza nel cogliere «l'aria del tempo» e, insieme, alcuni dei propri temi essenziali. Il quarto, Il peso falso, che apparve nel 1937, appartiene invece all'ultima stagione di Roth e va considerato - accanto alla Leggenda del santo bevitore e al Leviatano - come uno di quegli apologhi narrativi, in certo modo testamentari, nei quali lo scrittore ha racchiuso il senso segreto della sua opera. Si sfiora dunque, in queste pagine, l'intera tastiera di Roth: c'è il romanzo politico (La tela di ragno, stupefacente prefigurazione non solo del nazismo, ma di tutte le trame occulte che continuano a tessersi intorno a noi); la raffigurazione di un mondo dalle molte voci (Hotel Savoy, dove il protagonista è l'albergo stesso con le sue 864 stanze, luogo affascinante, sordido e misterioso come la vita); la storia di un singolo (La ribellione, in cui troviamo il Roth più aspro, che rifiuta ogni ordine...
Il re e il cadavere. Storia della vittoria dell'anima sul male
Heinrich Zimmer era un grande studioso dell'India, ma in questo libro - forse il suo più affascinante - ha voluto presentarsi come «dilettante fra i simboli». Dilettante significa qui colui che trova un inesauribile diletto nelle immagini, nelle storie che, rampollando di civiltà in civiltà, accompagnano la nostra memoria e, intrecciandosi le une con le altre, finiscono per avvolgerci in una rete che non ci è meno vicina della rete dei nostri nervi. Nodi di quella rete sono i simboli, e questo libro è dedicato appunto a «coloro che si dilettano di simboli, amano conversare con essi e amano vivere tenendoli continuamente presenti». Ai simboli si applica la sentenza delle Upanisad: «L'abbondanza si attinge dall'abbondanza, eppure l'abbondanza rimane». La loro ricchezza non viene intaccata dall'usura del tempo, e nessuna interpretazione riesce a sequestrarla. La loro muta presenza è un continuo invito ad affrontare il «compito interminabile di sondare le acque tenebrose del significato»: di quelle acque Zimmer è un mirabile traghettatore. Guidati da lui, ritroveremo in queste pagine le grandiose intemperanze degli dèi indù ma anche seguiremo la storia dell'avaro Abu Kasem e delle sue maligne babbucce, che non vogliono abbandonarlo, o quella...
Mente e natura. Un'unità necessaria
Nei suoi ultimi anni, Gregory Bateson, il maestro della «ecologia della mente», volle provare per una volta a esporre il suo pensiero - e soprattutto il modo di procedere del suo pensiero - in un solo libro: questo Mente e natura, che apparve nel 1979, pochi mesi prima della sua morte. In fondo, la preoccupazione centrale delle sue multiformi ricerche - che avevano toccato la biologia e l'antropologia, la psichiatria e l'epistemologia, lasciando ovunque tracce incancellabili - era stata sempre una sola: scoprire, descrivere, esplorare la «struttura che connette», quella struttura che è la risposta a una domanda qui presentata sulla soglia del libro: «Quale struttura connette il granchio con l'aragosta, l'orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l'ameba da una parte e con lo schizofrenico dall'altra?». Sono queste le domande prime e ultime - e troppo spesso sono proprio quelle che vengono schivate. Con il suo sbalorditivo dono pedagogico, Bateson ci mostra come porle subito - e ci mostra anche che esse riappaiono intatte, come una sfida, alla fine di ogni processo conoscitivo. Comunque, se a una risposta dobbiamo...
Scritti: Il capitano di lungo corso-Note senza testo-Lettere editoriali-Lettere a Montale
Roberto Bazlen non pubblicò nulla durante la sua vita. Eppure si può dire che sempre la sua vita ha avuto a che fare con i libri. Così l'immagine che per molti si è fissata di lui è quella di un infaticabile scopritore e suggeritore di opere, di autori. Ma basta aprire una pagina qualsiasi di questi suoi Scritti per avvertire che quell'immagine è parziale e sviante. Singolare non è tanto che apprezzasse e consigliasse quei libri (in fondo erano libri essenziali del nostro tempo, e solo in un paese di inveterata angustia culturale i suoi suggerimenti sono potuti apparire a lungo eccentrici); singolare è che una vita così viva (per lui il raggiungimento più difficile: «Un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti - alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi»), che un'intelligenza così bruciante, che una limpida vocazione sciamanica sfociassero, come nella loro principale manifestazione pratica, in quell'attività del consigliare libri. Taoista (è l'unica definizione che gli si può applicare senza imbarazzo), Bazlen aveva imparato da Chuang-tzu che il sapiente lascia il minimo di tracce: quei libri di cui parlava e che...
Ascolto il tuo cuore, città
In margine a questo libro, Savinio avverte il lettore che si tratta di «un libro discorsivo: un entretenimiento». E subito aggiunge che questa forma di «lungo e tranquillo conversare» è per lui la più ambiziosa, in quanto sottintende tutta la civiltà: qui «la fase cosmogonica della poesia - e del pensiero - è superata, sottintesa, e “taciuta”; per quel pudore che è regola rigorosa sul piano di questa superiore civiltà. Ormai non si opera più, non si cede più alla bassa ambizione di mettere le mani in pasta. Si rievoca soltanto. Si passa tranquilli, indifferenti, fra i ricordi che il dramma ha lasciato dietro di sé. E solo c'è voce per un discorso calmo. Poi, più oltre, più su, luogo non ci sarà nemmeno per un discorso; ma solo per il silenzio». Una volta decifrato tale impeccabile cartiglio, che illustra non solo questo libro ma tutta l'opera di Savinio, siamo pronti a seguire questo «lungo conversare» che - ci accorgeremo presto - è anche un passeggiare: passeggiare per Milano, scoprendo in questa città (che Savinio si azzarda a definire «dotta e meditativa: la più romantica delle città italiane») una selva di associazioni, di...
Discorsi sacri
Questo libro è «la prima e unica autobiografia religiosa che il mondo pagano ci ha lasciato» (Dodds), ma anche in certo modo il primo caso clinico che conosciamo, documentato dal paziente stesso. Tutta la vita di Elio Aristide ruota infatti intorno a un male psichico, mutevole e insidioso. E al tempo stesso intorno alla divinità che salva dal male: Asclepio. Nel santuario del dio, a Pergamo, si compiva il rito dell'incubazione: il paziente andava in quel luogo a sognare, e l'intervento guaritore del dio avveniva appunto nel sogno. Si creava così una sacra intimità fra il paziente e Asclepio. Da essa è dominata tutta la vita di Aristide: questo abile e fecondo retore, sempre oscillante fra la minuziosa ossessività nevrotica e la maestà sciamanica, ha scelto, per raccontare la storia della sua anima, una forma tortuosa, in un perpetuo intreccio fra sogni risanatori ed eventi perturbanti: intreccio di cui è superfluo sottolineare la sconcertante modernità. E un'altra sensazione ci colpisce subito in questo testo: mai avevamo avuto l'impressione di calarci così profondamente nella vita quotidiana di uno scrittore dell'antichità classica. A lungo trascurati per la loro eccessiva stranezza, questi Discorsi sacri, che risalgono...
Cristallo di rocca
Cristallo di rocca (1853) è la storia di due bambini sperduti fra i ghiacci in una tempesta di neve, alla vigilia di Natale. Avanzano «con la tenacia e il vigore che hanno i bambini e gli animali, perché non sanno ciò che li attende e quando le loro energie saranno esaurite». Ma un paesaggio sempre più estraneo e impenetrabile li avvolge, come una sterminata, candida prigione. Nella passeggiata avventurosa di questi due bambini fra il paese della nonna e quello dei genitori, Stifter ha fissato l'immagine stessa che governa tutta la sua arte: quella di una natura familiare e intima, che si spalanca poi, se appena deviamo dal sentiero battuto, in uno spazio inquietante, primordiale, dove la nostra presenza è quella di «puntini minuscoli» fra «blocchi immensi». Il mondo di Stifter è devoto ugualmente alla minuzia e alla grandiosità; alle orme nella neve, delle quali il calzolaio del paese dice: «Non sono di scarpe di mia lavorazione», e al tempo stesso ai ghiacci abbaglianti, alle caverne azzurrine che ci introducono a palazzi incantati e infidi. Questo racconto mirabile ricalca un antico modello di fiaba: quello delle storie di bambini perduti e scampati alla...
Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico
Con questo libro si rivelò al mondo, nell'anno 1911, la scienza delle scienze, che tutte le altre ingloba e vanifica: la patafisica, «scienza delle soluzioni immaginarie», che si prefigge di studiare le leggi che reggono le eccezioni (quindi, in modo più o meno evidente, tutto) e di spiegare l'universo supplementare al nostro. Suo araldo è il dottor Faustroll, «negromante moderno, mescolanza di uomo e di marionetta, di trasposizione mitica e di caricatura» (Sergio Solmi). Al pari di tanti eroi delle favole, il dottor Faustroll deve compiere un viaggio - e la sua imbarcazione si spingerà indifferentemente per terra, per mare o per le vie della città. Le varie «isole» a cui approda sono altrettante costellazioni sull'atlante celeste della décadence, come dire su quello che ancora oggi è il nostro cielo. Lì vegliano invisibili numi protettori, che rispondono volta a volta ai nomi di Lautréamont e di Bloy, di Mallarmé e di Gauguin, di Schwob e di Verne. E lì sentiremo risuonare l'inestinguibile riso patafisico, che si sovrappone a quello più antico di Rabelais, in quanto «coscienza viva di una dualità assurda e che salta agli occhi». In quanto tale, precisava Daumal, esso è...
Cronaca di famiglia
Aksakov scoprì tardi la sua vera vena di scrittore, e quasi per istigazione di amici (amici che si chiamavano, fra gli altri, Gogol' e Turgenev) giunse a pubblicare, nel 1856, questa Cronaca di famiglia, che fu salutata con entusiasmi paragonabili a quelli che aveva suscitato Le anime morte. Non sembrava crederci molto egli stesso: soprattutto, si sentiva incapace di «inventare». Ma il suo segreto era un altro, il segreto russo per eccellenza: tutto ciò che racconta la sua «cronaca di famiglia» immediatamente esiste, come una roccia fra l'erba, con la stessa nettezza di profili e superfici, con la stessa evidenza, come fosse lì da sempre. Aksakov non vuole, non può essere altro che un «imparziale narratore di racconti tramandatisi oralmente»: storie di suoi parenti, filtrate dal racconto di altri parenti, servitori, amici; storie del governatorato di Ufa, nella profonda provincia russa, verso la fine del Settecento. Qui la civiltà che viene da Occidente non si è curata di lasciare altro che labili tracce. E la piccola città è circondata dalla steppa, dove ancora cavalcano i nomadi baškiri e mordvini, a cui alcuni isolati possidenti russi sottraggono, con rudimentali astuzie, sterminati terreni. Uno di...
Una sola moltitudine. Testo portoghese a fronte. Vol. 2
Con questo volume si conclude la vasta scelta, a cura di Antonio Tabucchi, dell'opera plurale di Fernando Pessoa. Qui accolte si troveranno liriche di Pessoa ortonimo, fra le quali il poemetto esoterico Messaggio, unico volume in versi pubblicato in vita dall'autore e vero sigillo della sua opera; liriche di Ricardo Reis, «innocente pagano della decadenza», che custodisce una «coscienza lucida e solenne delle cose e degli esseri»; liriche di Alberto Caeiro, eteronimo maestro di eteronimi (Reis e Álvaro de Campos), sulla cui figura Pessoa scrisse: «ha dato più ispirazione alla mia ispirazione e più anima alla mia anima»; infine il sorprendente Coelho Pacheco, anticipatore della scrittura automatica, quale poi sarà rivendicata dal surrealismo.
EUR 15.30